Edoardo Collamarini e la «macchina per studiare le nebulose extragalattiche »
L’Archivio
storico del Comune di Bologna conserva, nel “carteggio
amministrativo”, il «Progetto di massima per una stazione
astronomica della R. Specola di Bologna da erigersi in terreno proprio sulla
cima di Monte Griffone – M 250
– colle sovrastante Monte Donato». Le
tavole autografate col logo del celebre architetto
bolognese Edoardo Collamarini (1863-1928), portano la data «6-XI-1923» e la dicitura «in collaborazione col
Direttore della Regia Specola di Bologna Prof. Guido Horn
d’Arturo».
Dal 1910, per decreto ministeriale,
Collamarini era “Aggregato all’Università di Bologna”
(dove insegnava “Disegno architettonico” alla Scuola degli
Ingegneri) e dal 1917 era anche Direttore della Scuola di Belle Arti.
Ormai al culmine della sua carriera
(morirà senza vedere il compimento dell’Istituto di chimica
“Ciamician”, progettato in quegli stessi
anni) godeva di illimitato credito presso l’entourage del Rettore Ghigi. Il ritrovamento recente del progetto
dell’edificio della “Specola” mette in evidenza tutta
l’abilità artistica del direttore dell’Accademia
nonché il suo interesse per l’architettura di D’Aranco e l’esotico orientaleggiante. Esso, poi,
consente di gettare luce su una vicenda dimenticata. Ripercorrendo la storia
dell’Osservatorio di Bologna sulla rivista Coelum da lui diretta, Horn ricostruisce le tappe che portarono,
nel 1936, al compimento dei lavori per la Specola di Loiano, che
aveva il compito principale di studiare l’«ancora misterioso mondo
delle Nebulose extragalattiche».
È qui che Horn accenna a un intervento del Collamarini a proposito della
palazzina per gli uffici, facendo però riferimento a una collocazione su
Monte Stanco (710 m)
in Comune di Grizzana. Quando, nel 1933, fu presa la decisione di spostare la Specola
a Loiano, in
condizioni molto più favorevoli agli astronomi,
la paternità del progetto passò all’onnipresente ingegnere
del Genio Civile Gustavo Rizzoli che dirigeva anche
l’Ufficio tecnico dell’Ateneo.
Nella modesta architettura di Rizzoli si colgono ancora vaghe reminescenze del sontuoso
progetto di Collamarini (conservando, ad esempio, la distinzione rigorosa in
due corpi di fabbrica), ma il tutto appare tradotto in
una tecnicità che utilizza il debole apparato
decorativo esterno con caratteri “caricaturiali”.
Ciò che noi oggi vediamo a Loiano
(la Specola con la cupola girevole, eccezionale opera meccanica della Ditta Bombelli di
Milano), malgrado un’attribuzione di tradizione
al direttore dell’Accademia di Belle Arti, nulla ha a che vedere col suo
progetto. Non sono ancora state chiarite le circostanze in cui maturò la collaborazione tra Horn e Collamarini per
confluire nel progetto per Monte Donato. Probabilmente, l’attivismo del
grande accademico, reduce dai successi dei suoi progetti romani in
collaborazione con Rubbiani per il 50°
dell’Unità d’Italia, l’eco che ebbero i suoi restauri
in Santo Stefano, le onorificenze, la fama internazionale e la consolidata
presenza nell’apparato consultivo dell’Ateneo, devono aver dato a
Horn la certezza di poter contare su un progettista in grado di saper tradurre
la scienza degli astronomi in un’opera d’architettura rispondente a
precise esigenze di “visibilità”. Infatti, dopo una prima
ipotesi per l’Osservanza a Villa Aldini, la
scelta dei terreni di Monte Donato va certamente messa in relazione col fatto
che ivi l’Università possedeva un vasto appezzamento di terra
(12000 mq) che Collamarini conosceva benissimo, per i suoi precedenti di
servizio militare.
Nella planimetria del
sito stesa dall’architetto è molto evidente – con un
tratteggio che ne delimita l’area – il perimetro
“esagonale” di una fortificazione. Si trattava in
effetti dell’ex “Lunetta Griffone”,
parte essenziale delle fortificazioni di collina del generale Manfredo Fanti,
erette attorno a Bologna tra il 1859 e il 1861. La “torre” della
Specola vi appare esattamente al centro, collocata cioè su terreni vacui
e instabili per riporti di terra. Nel planivolumetrico
di ambientamento, l’architetto sottolinea la preesistenza geometrica del
tracciato fortificato trasformato in un giardino circolare ai cui centro sorge
l’Osservatorio.
Nelle tavole successive «A - Pianta
della costruzione che porta la cupola girevole. B - Uno dei
prospetti: Nord. C - Sezione sull’asse Est-Ovest», l’idea
architettonica dell’ Osservatorio-padiglione,
immerso nel verde è ancora più pregnante. Memore delle
tante foto d’architettura dei chioschi imperiali della Sublime Porta da
lui collezionate, Collamarini fornisce un progetto di sicura capacità
evocativa. Le lunghe sezioni attraverso il sito con il loro indulgere pittorico
sulla vegetazione circostante ci confermano la fascinazione
che egli dovette subire dal tema di cui era stato incaricato. Eppure, nella
sezione sull’interno, il telescopio poggia a terra su di una base che non
corrisponde alle condizioni tecniche di tali apparecchi. Ancora in questa fase
il progetto, infatti, attendeva inevitabili suggerimenti di Horn. Quando questi,
nel 1936, pubblicherà su Coelum
il progetto di Rizzoli, le preoccupazioni
architettoniche di Collamarini sono ormai lontane e la nuova sezione rivela,
nella sua realtà tecnologica, il possente pilone centrale sul quale
poggia – isolata dal resto dell’edificio – la macchina ottica
per studiare le «nebulose extragalattiche».
Gustavo Rizzoli,
che in quegli anni concludeva il cantiere del Ciamician
e dirigeva come responsabile del cemento armato il progetto dell’architetto
Giuseppe Vaccaro per a
Facoltà di Ingegneria, trasferita nella nuova sede di Porta Saragozza,
non dimenticò del tutto il progetto del compianto direttore
dell’Accademia. Nella parete curva che prosegue verso terra la tensione
volumetrica della cupola rotante, egli ha colto l’idea plastica
dell’architetto scomparso. Il partito stilistico e il suo “ordine”
di conci di “pietra grigia di Carlino” piegano timpani e
modanature come fossero elementi plastici e duttili.
Un cenno debole di controllo della forma che ricorda la sapiente
gestualità segnica del Collamarini il cui
progetto dimenticato riemerge ora, dopo 70 anni di oblio.
Giuliano Gresleri
Devo un vivo ringraziamento alla dott.sa Beatrice Bettazzi, della Sezione
Architettura dell'ASUB, per avermi messo sulle tracce del progetto collamariano.