Astronomi a Loiano: alcuni ricordi
Piero Tempesti
Presi
servizio a Loiano il 2 luglio 1940, tre settimane dopo l’entrata in
guerra dell’Italia. Ero iscritto al secondo anno di Fisica a Firenze e
frequentavo da alcuni anni l’Osservatorio di Arcetri. Quando mi proposero
di occupare il posto di “tecnico coadiutore” che l’Università
di Bologna aveva appena istituito per l’Osservatorio di Loiano, accettai.
477 lire nette al mese (circa 300 euro), più l’alloggio:
avevo così risolto il problema di come sbarcare il lunario e potevo
lavorare nel campo di mia predilezione. Direttore era il prof. Francesco Zagar
che aveva sostituito un anno e mezzo prima il prof. Guido Horn d’Arturo,
esonerato in seguito alle leggi per la difesa della razza. Presentatomi nella
sede di via Zamboni, Leonida Rosino, giovane
assistente di Zagar, quel giorno stesso mi accompagnò a Loiano e mi
istruì sul da farsi. Mio compito era effettuare osservazioni
fotografiche secondo i programmi prevalentemente suoi e in minor parte del
direttore. Io ero ben lieto di poter lavorare con uno strumento che allora era
considerato di media potenza e inclusi nelle osservazioni anche qualche modesto
programmino mio. Rosino veniva frequentemente a Loiano
perché amava molto compiere personalmente le osservazioni e mi fu
maestro ed amico. Una solida amicizia durata una vita. Permanenti
lassù eravamo io e un tecnico meccanico con la famiglia, il bravissimo
Aldo Galazzi. Il colle dell’Osservatorio era
allora piuttosto brullo: i pini, appositamente piantati, erano alti sì e
no un metro e mezzo. Intorno c’erano solo rare case di contadini. Il
lavoro mi lasciava molto tempo libero ed in quella solitudine potevo studiare e
preparare gli esami. Scendevo a Bologna una volta ogni paio di settimane. Nessuno
disponeva di automobile e i “motorini” non esistevano. Il
collegamento con Bologna era assicurato da una corriera che passava tre volte
al giorno. Un’ora e mezzo di viaggio!
A fine aprile 1941 fui chiamato alle armi. Mantenni,
come lo consentivano i tempi, la corrispondenza con Rosino che — esente
dal servizio militare — era rimasto a Bologna. L’armistizio dell’8
settembre 1943 mi sorprese in Sardegna. E così la linea del fronte ci divise: io
nell’Italia
libera e Rosino in quella nazifascista
Come seppi
dopo, Rosino continuò a osservare il cielo fino all’ultimo
momento, fin quando, avvicinandosi il fronte, i tedeschi
non ebbero requisito i locali dell’osservatorio. E buona sorte volle che
l’aviazione alleata non ritenesse l’osservatorio un obbiettivo.
Nell’ottobre 1944 la linea del fronte, superato lo spartiacque dell’Appennino
tosco-emiliano, si attestò sulla “linea gotica” e Loiano si
trovò nell’immediata retrovia americana: gli avamposti erano
subito dopo Livergnano, una dozzina di chilometri a
nord.
Finalmente,
in primavera gli Alleati si mossero e quando, il 21 aprile 1945, Bologna fu
liberata, io mi trovavo a Livorno, addetto alla difesa antiaerea. Mi precipitai
là con l'autostop (i camion americani risalivano la Futa in processione).
Passando per Loiano, vidi con sollievo che gli edifici dell'Osservatorio erano
ancora in piedi; feci una brevissima sosta, ma tutto era chiuso e sbarrato. Il
centro abitato aveva lievi danni, ma pochi chilometri dopo, da Sabbioni in giù,
il panorama cambiava. Non si vedeva più una casa in piedi e il suolo
appariva cosparso di crateri di granate: imbuti grandi e piccoli, talvolta
sovrapposti e sempre più fitti quanto più ci si avvicinava a
Pianoro, che trovai completamente raso al suolo.
A Bologna,
riabbracciati i miei, corsi in via Zamboni.
Naturalmente non sapevano niente di quanto fosse successo
a Loiano dopo il passaggio del fronte. Andarci non era facile: l’Università
non disponeva di mezzi motorizzati e per un civile era difficile farsi caricare
dai mezzi militari. Era invece facile per me che vestivo la divisa delle forze
italiane cooperanti e così io e Rosino potemmo salire lassù.
Trovammo
i locali completamente vuotati di ogni suppellettile. Ma il telescopio era
salvo. La ripresa delle osservazioni però si collocava in un incerto
futuro. Mancava infatti l’energia elettrica: nel
raggio di diecine di chilometri tutti i tralicci dell’alta tensione erano
stati abbattuti.
Nel
febbraio 1946, definitivamente congedato, ripresi il servizio di tecnico. Alla
direzione dell’Osservatorio era tornato il prof. Horn che, dal
nascondiglio in Romagna dove era rimasto celato per un anno e mezzo, era venuto
a riprendersi il suo posto. Per Zagar era stata istituita una seconda cattedra.
E a Loiano ritrovai Galazzi che aveva messo il
telescopio nuovamente in grado di operare. Ma rimaneva il problema dell’energia
elettrica per il moto orario e per i motorini di correzione. Finalmente
Galazzi scovò in quel di Loiano un tale che
disponeva di un generatore con motore a scoppio. L’impedimento fu
così superato: con un carrello trainato da una bicicletta si portavano
giù gli accumulatori a caricare. Riportarli su era alquanto
faticoso e si doveva spingere il tutto a piedi. Ma la notte si poteva
fotografare il cielo! Per la luce ci si serviva di lumi a petrolio, ed in breve
ci si abituò talmente che si lavorava come con l’illuminazione
elettrica. Pure in quelle condizioni precarie non si perdeva una sola notte
serena.
La linea
elettrica fu ripristinata nel 1949. Gli anni “epici” dell’Osservatorio
di Loiano erano superati.
Paolo Maffei
Per me, il telescopio da 60 cm di Loiano è
stato l’inizio della realizzazione del più bel sogno della mia
vita: quello di osservare e studiare i più disparati oggetti del cielo.
Nei tre anni trascorsi ad Arcetri dopo la laurea, avevo lavorato quasi
esclusivamente sul Sole. In quel glorioso osservatorio la stella più
vicina a noi si seguiva assiduamente e si studiava profondamente
ma … era una sola. A me piaceva, invece, vagare per il cosmo e
affrontare gli oggetti più disparati, anche a costo di conoscerli meno.
Quando, entrando come assistente di
ruolo all’Università di Bologna, il prof. Leonida Rosino mi disse
di risiedere a Loiano perché neppure qualche ora di cielo sereno andasse
perduta, accettai con entusiasmo. Fui il primo astronomo ad abitare a Loiano e
a pendolare con Bologna per i doveri da assolvere in sede. Per meglio
utilizzare i tempi, abbandonai l’uso della corriera, presi la patente e
acquistai la mia prima auto: Topolino di
seconda mano.
Così potevo lavorare al telescopio tutte le ore utilizzabili, ma da solo,
con l’unica
assistenza del custode dell’osservatorio. Quando il cielo era coperto mi
riposavo e quando si aveva la fortuna di una lunga serie di notti serene
alternavo una notte “lunga” (dal tramonto all’alba) a una
notte “corta” (fino alle una o due dopo
mezzanotte). Cancellavo la stanchezza quando il cielo
era inesorabilmente coperto. E poi c’erano i giorni intorno alla Luna
Piena. Il telescopio da 60 cm
di Loiano non poteva compiere osservazioni spettrografiche
e quelle fotografiche erano impedite dall’eccesso di luminosità
del fondo del cielo.
In uno di questi periodi di sicura
inattività mi sposai. Forse, mai l’espressione “luna di
miele” fu così corrispondente alla realtà astronomica!
Rimasi a Loiano appena quattro anni,
ma fu un periodo molto fecondo. Mia moglie insegnava nelle scuole locali e io
ero in perfetta risonanza con Rosino sul cui esempio impostavo sempre meglio il
mio metodo di ricerca. Attraverso lui conobbi il prof. Karl Wurm
dell’Osservatorio di Amburgo che aveva ideato e costruito
filtri di luce liquidi a banda passante molto più stretta di
quelli di vetro. Si potevano così isolare bene le righe proibite dell’[O III], l’Hβ e l’Hα
dell’idrogeno.
Fotografai diverse nebulose,
soprattutto planetarie. Le immagini col filtro liquido dell’
Hα
erano splendide, per il contrasto e
la ricchezza di particolari che mostravano, e in una di
quelle della nebulosa M 20
trovai una variabile all’estremità di un rim.
A quei tempi le mie ricerche
privilegiavano i campi con stelle in formazione, come Orione,
NGC 2264, ecc., e pensai che si trattasse di una di esse. Cominciai a fotografare il campo
anche nell’infrarosso. La stellina era quello che avevo pensato, ma ne
trovai solo un paio di simili. Trovai invece, nel campo, diverse variabili a
lungo periodo con notevoli ampiezze (fino a 5-6 magnitudini), contrariamente a
quanto si era detto fino ad allora. Così i miei interessi si spostarono
sempre più dall’origine alla fine delle stelle.
Anche le osservazioni nell’infrarosso
ebbero i primi sviluppi a Loiano. Seguendo un suggerimento della Kodak,
cominciai a sensibilizzare le lastre I-N in una soluzione ammoniacale.
Era un lavoro delicato, da
compiere totalmente al buio, ma i risultati furono eccellenti: con pose di 4
minuti si potevano ottenere immagini che l’emulsione non sensibilizzata
mostrava solo con 60. Rendendo sistematici i confronti blu–infrarosso
giunsi, più tardi, anche alla scoperta delle due galassie (Maffei 1
e Maffei 2) che mi resero noto in tutto il mondo e, soprattutto, aprirono
quelle ricerche di galassie nella zona oscurata della nostra Galassia che
stanno dando sempre maggiori frutti.
Lasciai Loiano con molto dispiacere,
per seguire Rosino ad Asiago, e fui pienamente felice quando vi realizzò il
telescopio Schmidt da 65/90 cm che permetteva di
fotografare campi con una superficie cinque volte più estesa di quella
di Loiano, ma, sempre per volontà di Rosino, lo strumento aveva la
stessa lunghezza focale e la stessa apertura utile del caro, vecchio amico di
Loiano.