Regione Eistla

 

Superficie di Venere - Teoria del rinnovamento periodico

Sembra che su Venere il vulcanesimo su grande scala sia cessato 500 milioni di anni fa. Questo porta a concludere che i crateri di impatto si sono formati in un secondo tempo cioè dopo che la superficie del pianeta era stata completamente rinnovata. Alcuni geologi ritengono che, a differenza della Terra, il rinnovamento della sua superficie sia periodico.

Sulla Terra il calore, che si ha nel suo interno, viene liberato dai movimenti della crosta terrestre e quindi fuoriesce dalle eruzioni vulcaniche che si producono lungo i confini tra le placche continentali.

Su Venere invece quando il sottostante riscaldamento non può più essere contenuto si verificherebbe un "catastrofico" rimescolamento capace di frantumare completamente la crosta del pianeta. Tutta la superficie apparirebbe allora come un calderone ribollente di lava che, raffreddandosi, porta alla formazione della nuova crosta.

Si tratta di una teoria che, per quanto affascinante, deve essere ancora sottoposta a verifica. Non mancano le idee contrarie: infatti diversi geologi affermano che anche oggi è presente attività vulcanica.

Ad esempio Larry Esposito dell'Università del Colorado, afferma in base alle osservazioni della atmosfera di Venere effettuate nel 1995 con il Telescopio Spaziale, che essa contiene solo un decimo della anidride solforosa osservata dal Pioneer Venus nel 1978. Ne conclude che, avendo osservato la sonda Magellano un flusso di lava relativamente giovane nella Regione Eistla, la percentuale elevata osservata nel 1978 era dovuta ad una eruzione vulcanica avvenuta in questa zona.

Per cercare di risolvere il problema venne utilizzata la sonda Magellano per ricavare mappe gravimetriche della sua superficie: allo scopo la missione fu ribattezzata "Extended Magellan Mission" e la sonda fu mandata in un'orbita ancora più vicina alla atmosfera del pianeta.

In pochi mesi di osservazione la sonda fornì dati gravitazionali che permisero agli scienziati del JPL di affermare che la crosta si estende per un centinaio di km e che pertanto è sufficientemente sottile da permettere il "rinnovamento periodico" della superficie.